giovedì 6 novembre 2025

Le cattive, di Camila Sosa Villada

Titolo: Le cattive 
Autrice: Camila Sosa Villada
Anno: 2021
Prima pubblicazione: Sur

NELLA RECENSIONE SONO PRESENTI SPOILER.

DESCRIZIONE - Le cattive è un inno alla vita, un rito di iniziazione, un manifesto esplosivo, una preghiera, una vendetta. Con una prosa originalissima, un immaginario rigoglioso e poetico, questo romanzo racconta una storia che forse non abbiamo mai visto così da vicino ma di cui abbiamo senz'altro bisogno.

«Onestamente, "Le cattive" è quel tipo di libro che, quando l'hai finito, vorresti far leggere al mondo intero» – Juan Forn

Camila non ha ancora vent'anni quando si affaccia per la prima volta sulla zona più buia del Parco Sarmiento. Camila è una donna che ama, soffre, lotta. Camila è Cristian, un bambino che si prova di nascosto i vestiti della madre, i rossetti, gli orecchini, e trema alle sfuriate del padre. Camila è destinata a fare la puttana, a morire buttata in un fosso, così le hanno detto, così le hanno augurato. Questa è la storia di Camila e del gruppo di donne trans che diventerà la sua famiglia: c'è La Zia Encarna, madre protettrice con i seni gonfi di olio motore, c'è María la Muta, che sogna di volare, c'è La Machi, capace di curare ogni male. Ci sono le notti senza fine, le botte dei clienti, gli insulti, le fughe dalla polizia. C'è la scoperta di sentirsi diversi, il rifiuto dei genitori, la solitudine, la povertà. C'è un'ironia caustica, c'è tutta la gioia di un'identità finalmente propria e la voglia di vivere di un corpo che rinasce, che fiorisce.

Recensione

L'autrice sviscera con un cinismo crudo, quasi "arrabbiato", la condizione di immenso dolore esistenziale vissuta dalle donne trans (come da altri "emarginati").

La storia ruota attorno alla vita di Camila, 20enne studente universitario maschio di giorno e prostituta transessuale di notte, e delle sue compagne. La figura della Zia Encarna, trans passionale di 180 anni (sic), rappresenta una sorta di collante: una "madre" per tutte loro - quando le loro "vere madri", magari, lasciavano davvero a desiderare.

Durante una passeggiata al parco Sarmiento, una notte, Camila e le altre fanno la scoperta di un neonato abbandonato fra i rovi di un cespuglio. 

La Zia Encarna decide di adottarlo - il bambino viene, in effetti, adottato da tutte loro - e ben presto diventerà la ragione della sua vita, la realizzazione di ogni suo sogno di maternità e insieme di "femminilità". Si sottolinea qui la natura "puramente donna" di ogni trans: la Zia Encarna "incarna" in effetti il prototipo di madre completamente assorbita da un amore immenso, cosmico, incondizionato e "folle" per suo figlio - ecco qui la netta distinzione fra una donna "vera", quella che lo ha partorito e abbandonato, e una donna "non-donna" (così sostiene il transfobico) che abbonda fino alle lacrime di istinto materno, di maternità - e quindi, di quell'"essere donne" dentro che i transessuali sentono profondamente fin nei più profondi recessi dell'anima.

Attraverso la descrizione, a tratti angosciante, ma mai pietosa, di vicende esistenziali francamente sconfortanti, che rimandano a una realtà più che cruda, più che dura, semplicemente priva di ossigeno - eppure entro la quale la vita "esplode" più rumorosa che mai - Camila Sosa Villada ci regala un gioello grezzo della narrativa ispanica.

La figura della Machi - una donna sordomuta che vive in compagnia del gruppo di trans - è uno degli spigoli più duri del dolore "feroce", e ferocemente narrato, dell'intero romanzo. La descrizione dell'isolamento, e della sofferenza esistenziale di Machi trova la sua simbolica metafora nel suo "trasformarsi in un uccellino", un uccellino che non vola (trasformarcisi di fatto), metafora anche questa dell'anoressia che alla fine del romanzo la affligge dopo violenze e le esclusioni sociali che soffre; un'idea che con ogni probabilità sorge dal detto popolare "mangiare quanto un uccellino", cioè pochissimo: vediamo infatti la Machi "beccare qualche briciola di pane" ogni giorno, a simbolismo della sua anoressia come "astinenza dal nutrimento, dalla Vita", cioè della sua morte interiore.

Un romanzo che racconta la sofferenza più acuta in maniera mai sdolcinata, mai patetica, melodrammatica, lagnosa, ma con una ferocia ed un cinismo che forse ne sono l'espressione più sincera in assoluto. 

E' un libro che lascia forti emozioni, una "carezza alle gobbe" di una poetessa, Camila Sosa Villada, messa nera su bianco da e per chi conosce davvero il dolore che connatura la diversità, in ogni sua accezione: dalla prostituzione, alla transessualità, alla disabilità in senso lato...

Un forte "urlo di guerra", di vendetta, in forma di romanzo, in favore di tutti coloro che vengono esclusi perché "non funzionali" o "differenti da...", che riesce compiutamente nel suo intento di far riflettere e far provare una genuina empatia al tempo stesso.


Link utili:

Voto personale: 8/10

mercoledì 5 novembre 2025

Fame d'amore, di Fabiola de Clercq

Titolo: Fame d'amore - donne oltre l'anoressia e la bulimia
Autrice: Fabiola de Clercq
Anno: 2002
Prima pubblicazione: Rizzoli BUR

DESCRIZIONE - L'anoressia e la bulimia rappresentano il disagio psicologico più diffuso fra le donne di questi decenni. Questo libro, rivolto alle persone che soffrono di disordini alimentari, a quelle che le circondano e a coloro che sono impegnati nella terapia, non intende essere un manuale che offre risposte preconfezionate, ma piuttosto di uno strumento aggiornato, capace di addentrarsi nelle ragioni ultime della malattia perché nato dall'esperienza diretta dell'autrice, a lungo anoressica e bulimica lei stessa, e dal quotidiano contatto con migliaia di ragazze sofferenti.

Recensione

Dopo il successo di "Tutto il pane del mondo", saggio autobiografico sulla propria esperienza di anoressica prima, e di psichiatra specializzata in DCA in seguito, Fabiola de Clercq scrisse nel 2002 un altro saggio del medesimo argomento (essendo direttrice dell'ABA - Centro italiano d'eccellenza sui DCA, disturbi del comportamento alimentare), sospinta dalle tante richieste di supporto che le arrivarono da donne di tutta Italia. "Vivo il suo stesso dramma; posso capirla".

Fabiola organizza così inizialmente degli "incontri di gruppo" in una stanza studiata appositamente, anche nel design, per l'accoglienza delle persone vittime di anoressia e bulimia: muri bianchi a simboleggiare un ambiente "neutro, non minaccioso", un tappeto di bambù al centro del cerchio di sedie come una sorta di "rete" a sorreggere chi "cade" metaforicamente durante lo scambio di esperienze personali, spesso delicate e dolorose.

Ma - sottolinea Fabiola - una anoressico/bulimica in realtà è sempre restia, almeno in prima battuta, a parlare d'altro che non sia cibo, calorie, modi per espellere o nascondere il cibo; è per questo che, quando l'anoressica/bulimica in seduta individuale (nei casi più delicati è consigliata la seduta individuale, nda) attacca con quella che la De Clercq stessa definisce "litania" (del peso, delle calorie, del cibo, del vomito, ecc.), strategicamente l'analista guarda l'orologio, rovista fra i cassetti alla ricerca di "qualcosa", sbadiglia, si mostra annoiata, disinteressata.

Occorre che la persona malata sappia di essere altro dal suo sintomo - poiché, analizzando l'anoressia e la bulimia anche da un punto di vista sociologico, la De Clercq arriva a sostenere che non si tratti a un certo punto solo di una "stampella" (come l'alcool, come le droghe) per andare avanti sopportando un dolore insopportabile, ma parte stessa dell'identità dell'individuo.

"Cosa sono io senza l'anoressia? Cosa resta di me senza la bulimia? L'oblio. Il vuoto."

Un'anoressica/bulimica non è in genere un'istrionica che ami raccontarsi, scavare nel profondo. Un'anoressica/bulimica non vive al di là del "sintomo". C'è vita al di là del "sintomo"? Sì, e fondazioni come l'ABA sono qui per dimostrarlo a tutte le donne (o gli uomini) che ne necessitino.

Fabiola De Clercq (repetita iuvant) è stata, in prima persona, un'anoressica/bulimica, prima di diventare "colei che cura" le anoressiche e le bulimiche, quindi: chi meglio di lei sa esattamente di cosa si tratta? Chi meglio di lei può prestare servizio alla causa? 

Come avvenne con Marsha Linehan (inizialmente malata di DBP) e la DBT (Terapia dialettico comportamentale, studiata accuratamente per la cura del DBP), spesso è chi l'Inferno l'ha vissuto sulla propria pelle ad essere più capace di - e destinato con più successo a - tirare fuori dall'Inferno chi ci vive.

Link utili: 

Voto personale: 7/10