Titolo: Le cattive
Autrice: Camila Sosa Villada
Anno: 2021
Prima pubblicazione: Sur
NELLA RECENSIONE SONO PRESENTI SPOILER.
DESCRIZIONE - Le cattive è un inno alla vita, un rito di iniziazione, un manifesto esplosivo, una preghiera, una vendetta. Con una prosa originalissima, un immaginario rigoglioso e poetico, questo romanzo racconta una storia che forse non abbiamo mai visto così da vicino ma di cui abbiamo senz'altro bisogno.
«Onestamente, "Le cattive" è quel tipo di libro che, quando l'hai finito, vorresti far leggere al mondo intero» – Juan Forn
Camila non ha ancora vent'anni quando si affaccia per la prima volta sulla zona più buia del Parco Sarmiento. Camila è una donna che ama, soffre, lotta. Camila è Cristian, un bambino che si prova di nascosto i vestiti della madre, i rossetti, gli orecchini, e trema alle sfuriate del padre. Camila è destinata a fare la puttana, a morire buttata in un fosso, così le hanno detto, così le hanno augurato. Questa è la storia di Camila e del gruppo di donne trans che diventerà la sua famiglia: c'è La Zia Encarna, madre protettrice con i seni gonfi di olio motore, c'è María la Muta, che sogna di volare, c'è La Machi, capace di curare ogni male. Ci sono le notti senza fine, le botte dei clienti, gli insulti, le fughe dalla polizia. C'è la scoperta di sentirsi diversi, il rifiuto dei genitori, la solitudine, la povertà. C'è un'ironia caustica, c'è tutta la gioia di un'identità finalmente propria e la voglia di vivere di un corpo che rinasce, che fiorisce.
Recensione
L'autrice sviscera con un cinismo crudo, quasi "arrabbiato", la condizione di immenso dolore esistenziale vissuta dalle donne trans (come da altri "emarginati").
La storia ruota attorno alla vita di Camila, 20enne studente universitario maschio di giorno e prostituta transessuale di notte, e delle sue compagne. La figura della Zia Encarna, trans passionale di 180 anni (sic), rappresenta una sorta di collante: una "madre" per tutte loro - quando le loro "vere madri", magari, lasciavano davvero a desiderare.
Durante una passeggiata al parco Sarmiento, una notte, Camila e le altre fanno la scoperta di un neonato abbandonato fra i rovi di un cespuglio.
La Zia Encarna decide di adottarlo - il bambino viene, in effetti, adottato da tutte loro - e ben presto diventerà la ragione della sua vita, la realizzazione di ogni suo sogno di maternità e insieme di "femminilità". Si sottolinea qui la natura "puramente donna" di ogni trans: la Zia Encarna "incarna" in effetti il prototipo di madre completamente assorbita da un amore immenso, cosmico, incondizionato e "folle" per suo figlio - ecco qui la netta distinzione fra una donna "vera", quella che lo ha partorito e abbandonato, e una donna "non-donna" (così sostiene il transfobico) che abbonda fino alle lacrime di istinto materno, di maternità - e quindi, di quell'"essere donne" dentro che i transessuali sentono profondamente fin nei più profondi recessi dell'anima.
Attraverso la descrizione, a tratti angosciante, ma mai pietosa, di vicende esistenziali francamente sconfortanti, che rimandano a una realtà più che cruda, più che dura, semplicemente priva di ossigeno - eppure entro la quale la vita "esplode" più rumorosa che mai - Camila Sosa Villada ci regala un gioello grezzo della narrativa ispanica.
La figura della Machi - una donna sordomuta che vive in compagnia del gruppo di trans - è uno degli spigoli più duri del dolore "feroce", e ferocemente narrato, dell'intero romanzo. La descrizione dell'isolamento, e della sofferenza esistenziale di Machi trova la sua simbolica metafora nel suo "trasformarsi in un uccellino", un uccellino che non vola (trasformarcisi di fatto), metafora anche questa dell'anoressia che alla fine del romanzo la affligge dopo violenze e le esclusioni sociali che soffre; un'idea che con ogni probabilità sorge dal detto popolare "mangiare quanto un uccellino", cioè pochissimo: vediamo infatti la Machi "beccare qualche briciola di pane" ogni giorno, a simbolismo della sua anoressia come "astinenza dal nutrimento, dalla Vita", cioè della sua morte interiore.
Un romanzo che racconta la sofferenza più acuta in maniera mai sdolcinata, mai patetica, melodrammatica, lagnosa, ma con una ferocia ed un cinismo che forse ne sono l'espressione più sincera in assoluto.
E' un libro che lascia forti emozioni, una "carezza alle gobbe" di una poetessa, Camila Sosa Villada, messa nera su bianco da e per chi conosce davvero il dolore che connatura la diversità, in ogni sua accezione: dalla prostituzione, alla transessualità, alla disabilità in senso lato...
Un forte "urlo di guerra", di vendetta, in forma di romanzo, in favore di tutti coloro che vengono esclusi perché "non funzionali" o "differenti da...", che riesce compiutamente nel suo intento di far riflettere e far provare una genuina empatia al tempo stesso.
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